Giuseppe Alviggi

Sono finite le “lobby social”. Il declino tra i giovani di Facebook e l’uso professionale dei canali digitali.

Sicuramente ricorderete lo slogan “Facebook ti aiuta a restare in contatto con le persone della tua rete”. Bene, in questo sta il successo ultradecennale del social e il suo lento declino, soprattutto tra i più giovani, a favore di piattaforme come Instagram, TikTok, Twitch oppure in ambito professionale, dove – ad esempio su LinkedIn – la rete di collegamenti può ampliarsi a professionisti di altre regioni italiane. Per quale motivo? Perché i nuovi canali hanno una logica “open”. Basta un hashtag e il tuo post ti porta nel mondo. Un po’ come accaduto con Twitter all’inizio. I giovani di oggi, gli adolescenti e studenti universitari, sono figli di un’epoca di globalizzazione all’ennesima potenza, in cui il web e la virtualità suggeriscono spazi di conoscenza e comprensione senza limiti. Con Facebook questo potere e territorio inesplorato sembra ristretto alla propria rete di amicizie. Da qui derivano due riflessioni. Una di carattere sociologico, che evidenzia e conferma la liquidità della società moderna come profetizzata già da Bauman, e quindi la non definizione precisa in cluster delle nuove generazioni, dall’altra sull’utilizzo professionale di questi canali. Se Facebook rappresenta il luogo ideale per affermare e consolidare la propria reputazione presso la rete di conoscenze, provando con le inserzioni ad estenderla a pubblici in target, Instagram e soprattutto LinkedIn permettono un racconto e proposizione del brand in grado di travalicare i confini della propria rete, per intercettare un pubblico ancora più ampio e meglio definito. Non si può, a tal proposito, non immaginare un futuro brandtelling fondato su stories, video e immagini, dove i testi più lunghi di 300 caratteri devono emozionare il lettore e coinvolgerlo per non finire nel dimenticatoio dei social.

Di Giuseppe Alviggi